La cosiddetta “unione fiscale” di due o più unità immobiliari ai fini Imu/Tasi è possibile. A chiarirlo è stata l’Agenzia delle Entrate nelle recente Circolare 27/E/2016, pubblicata lo scorso 13 giugno. La questione, analizzata al paragrafo 1.7 del documento, nasce dall’“impossibilità, in caso di due unità immobiliari contigue e autonomamente accatastate, di richiedere l’accatastamento unitario in presenza di distinta titolarità delle stesse (ad esempio, un’unità di proprietà del marito, l’altra di proprietà della moglie)”.

Dall’impossibilità, però, di procedere con un accatastamento unitario – il che vorrebbe dire effettuare una fusione catastale in piena regola, con una sola rendita per un solo appartamento – scaturisce comunque la possibilità di richiedere un’“unione di fatto ai fini fiscali”, che ovviamente non porterà alla registrazione a livello catastale di un’unica unità immobiliare, ma appunto all’unione, cioè alla somma, delle distinte rendite come se di fatto si trattasse di un solo fabbricato. Riprendendo allora l’esempio della coppia sposata, in questo modo marito e moglie, proprietari rispettivamente di due abitazioni contigue, ma catastalmente autonome, potrebbero “fondere” le due rendite e godere dell’esenzione Imu/Tasi applicata sull’abitazione principale.

La necessità di procedere con tale unione è insita nella norma che ai fini Imu definiva, nel Dl 201/2011, il concetto di abitazione principale, vale a dire “l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente”. La stessa identica definizione è stata poi mantenuta anche ai fini Tasi. Il punto fondamentale è l’utilizzo dell’espressione “unica unità immobiliare”. L’immobile deve quindi essere uno, l’unico ascrivibile al nucleo familiare. È infatti previsto che vi sia una sola abitazione principale per nucleo.

Nei casi, allora, come quello dei due coniugi con altrettante abitazioni contigue, è pacifico che soltanto su una di esse potrà applicarsi l’esenzione Imu/Tasi, mentre l’altra dovrà scontare l’imposta sulla base dell’aliquota ordinaria stabilita dal Comune. Il contribuente non può, quindi, applicare le agevolazioni per più di una unità immobiliare, a meno che non abbia preventivamente proceduto al loro accatastamento unitario, cosa, però, che non sempre è possibile.

Laddove non sia possibile ecco che entra in gioco la fusione a fini fiscali. A questo proposito nella Circolare 27/E/2016 l’Agenzia osserva “che non è, di norma, ammissibile la fusione di unità immobiliari, anche se contigue, quando per ciascuna di esse sia riscontrata l’autonomia funzionale e reddituale, e ciò indipendentemente dalla titolarità di tali unità. Tuttavia, se a seguito di interventi edilizi vengono meno i menzionati requisiti di autonomia, pur essendo preclusa la possibilità di fondere in un’unica unità immobiliare i due originari cespiti in presenza di distinta titolarità, per dare evidenza negli archivi catastali dell’unione di fatto ai fini fiscali delle eventuali diverse porzioni autonomamente censite, è necessario presentare (tramite Docfa, ovvero la procedura per la compilazione dei documenti tecnici catastali, ndr) due distinte dichiarazioni di variazione, relative a ciascuna delle menzionate porzioni. (…) Non è pertanto sufficiente richiedere ai competenti Uffici dell’Agenzia delle Entrate solo l’inserimento di un’apposita annotazione negli atti catastali, senza che siano state presentate le suddette dichiarazioni di variazione”.

Da quanto riportato sembra dunque di evincere che la presenza di “interventi edilizi” non meglio specificati, ma comunque finalizzati all’eliminazione dei requisiti di autonomia, è la conditio sine qua non per accedere alla fusione fiscale dei cespiti originari, ferma restando l’impossibilità di effettuare un accatastamento unitario. Di seguito le “distinte dichiarazioni di variazione” serviranno in pratica a comunicare che l’unità immobiliare X si unisce di fatto, fiscalmente parlando, all’unità immobiliare Y.